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spasimo 283

come non era più mia con l’anima, così già si fosse data a voi. Pensavo, per non credere questa cosa orribile: «Ella sente tanto altamente che non la farà mai!» Dentro di me una voce rispondeva: «Ora tu credi a quelle morali altitudini delle quali prima ridevi?» Ne ridevo, prima. E non le credevo ancora! La fiducia che ella non mi tradisse non era tanto alimentata dalla stima che avevo di lei, quanto dall’impossibilità di credere che tutto fosse proprio finito senza riparo tra noi. Sentivo che il mio ritorno e il mio ravvedimento le davano ansie mortali, e ne godevo sperando di recuperarla... Starle al fianco e non poterle prendere la mano! Ricordare il passato e disperare di riviverne un’ora sola!... Di tutto ciò che sentivo non potevo dir nulla. Ancora la superbia mi tratteneva, e un altro motivo, meno tristo. Io ero povero ormai; ella ricca: parlare ancora dell’amor mio non poteva essere una menzogna suggerita dal calcolo?... Un giorno parlai. Le dissi: «Ti ho perduta, ti ho voluta perdere; sento che la mia colpa è irreparabile. Ma se tu sapessi che cosa accade dentro di me! Ti chiedo per grazia di non abbandonarmi in questo momento che tutto mi crolla intorno. Più tardi farai ciò che vorrai...» Quel giorno, il giorno della tempesta, parlaste anche voi. Ella fu presa tra le nostre due passioni. Deliberò di morire. M’aveva risposto: «Non vi abbandonerò mai perchè sono la sposa vostra;