duta come cadono
tutti, poterle dire: «Hai visto? Dove sono le tue leggi morali? Anche tu
fai, come gli altri, il tuo piacere!» mi colmava di giubilo... Io mi
davo tutto, frattanto, all’opera che doveva abbattere la vecchia
società, nel mio paese e negli altri. L’ultimo tentativo mi pareva
destinato a riuscire; già pregustavo il trionfo. Avevo lungamente
preparato ogni cosa, ed incitato all’azione i pigri, i titubanti, i
paurosi, e dato quasi tutto ciò che restava della mia sostanza, senza
pensare alle difficoltà che avrei incontrate più tardi. Dovevo partire e
sarei partito anch’io, se non mi avessero costretto a restare per
preparare una nuova azione in caso di rovescio. E un giorno io seppi che
i miei fratelli erano uccisi, pendevano dalle forche, cadevano sulle vie
dell’esilio sotto la sferza degli aguzzini; io seppi che le donne, che
i fanciulli salivano il patibolo, che tanti innocenti pagavano per me,
che il terrore imperversava su tutta la gente della mia razza: un giorno
io mi ritrovai, dinanzi a tante rovine, con la paura d’avere sbagliato
la via, solo e quasi povero. Allora, improvvisamente, sorse dentro al
mio cuore come un bisogno, come un’ansia, come una sete ardente di
soccorso; allora io quasi stesi la mano per trovare al mio fianco un
appoggio; quasi mi protesi a udire una parola di consolazione... La
consolatrice esisteva. Non dovevo far altro che andare da lei, che
aprirle il mio cuore. Forse sa-