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246 | spasimo |
mente ragione, se aveva accolto candidamente il suo precetto, non doveva ora perdonare? Se ora non perdonava non era stato allora sincero; aveva finto per piegarla, per vincerla! Doveva egli accusarsi della passata ipocrisia oppure della debolezza presente?
Egli usciva dal dubbio pensando che la verità non è sempre la stessa, che i contrasti della vita mettono l’uomo in opposizione con sè stesso senza che sia imputabile di mala fede. No, egli non aveva mentito riconoscendo che la bontà è necessaria; soltanto col ricordare la predicazione del perdono non dimostrava d’averla compresa? Ma come accoglierla ora che la sua ragione, la sua passione, tutto l’essere suo voleva e doveva necessariamente volere il castigo? Allora egli udiva altre parole, così chiare e ferme come quando ella le aveva proferite: «La verità è una sola; riconoscerla astrattamente val poco nè vi può essere merito se non l’affermiamo contro il nostro proprio interesse....»
Una notte egli la vide venirgli incontro con le braccia prosciolte, le mani aperte, la faccia al cielo; l’udì proferire: «Perdona.» L’illusione fu così intensa che egli si destò con gli occhi bagnati di pianto.
Nella veglia, pensando di dovere oramai unicamente appagarsi delle vane visitazioni del sogno, l’impeto della passione vendicativa tornò