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la lettera 245

egli pensava se del cieco odio e della vendetta ella non si dolesse. Nel punto che l’arma omicida rompeva le sue carni, che gli occhi suoi chiudevansi alla luce, aveva ella imprecato? L’ultimo pensiero della sua vita poteva essere livido?

Quando il Vérod si proponeva queste domande, la risposta non era dubbia per lui. Ella aveva perdonato. Doveva egli perdonare a sua volta? Se voleva essere degno di lei, non doveva seguirne l’esempio?...

Alle volte egli chiudeva gli occhi e chinava la fronte, invaso dal ricordo dei buoni insegnamenti, quasi vergognoso d’averlo smarrito. Altre volte protestava ed insorgeva. La vita non può esser fatta tutta d’amore! Se al male s’oppone il perdono, quale sarà il premio del bene?... Ma allora le parole di lei gli tornavano a mente: «Se al male non si concede perdono, se gli si oppone altro male, dove è più il bene?» Ella diceva che la giustizia è amabile, ma che non basta. Poichè le creature umane sono troppo deboli e peccano anche quando hanno prescienza dei loro peccati, bisogna che alla somma troppo grande degli errori sia concessa indulgenza. «La giustizia indulgente non è giusta!...» aveva egli replicato; ed ella: «La stretta giustizia è impotente, la bontà solo ha ragione del male.»

Egli aveva assentito. Perchè aveva assentito? Non era stato sincero? Se le aveva dato sincera-