degno sentimento, come impedivano di credere che egli avesse
voluto la morte d’una persona nuovamente cara, così spiegavano l’odio se
non la gelosia della studente. Se Zakunine pareva più capace d’uccidere,
era meno verosimile che la sua posizione nel partito, la febbre di
propaganda e le gravi responsabilità non lo avessero distolto da un
delitto che lo consegnava alla giustizia. Nella Natzichev invece, meno
seriamente impegnata, la coscienza delle responsabilità era nulla o
minima; il dovere politico doveva opporre in lei, donna, minore ostacolo
alla passione; e se ella non aveva ancora meritato condanne per crimini,
le informazioni della polizia la dicevano capace di consumarne. Questa
capacità, la violenza dei suoi sentimenti, non le stavano scritte del
resto nella fisonomia, negli sguardi? In tutta la sua persona, in tutte
le sue parole, non c’era qualche cosa di duro, di fiero, una sfida
continua, una sorda minaccia, una ribellione implacabile? Lo stesso suo
contegno dinanzi al cadavere e dopo la prigionia disponeva il Ferpierre
contro di lei. Mentre Zakunine era apparso perduto dal dolore, ella era
rimasta fredda, impenetrabile. Aveva dapprima negato d’essere l’amante
di lui, poi aveva confessato; questa e le altre contraddizioni,
l’iniziativa presa nell’ultimo interrogatorio rispondendo invece del
principe, rivelavano, nonostante la mentita indifferenza, l’ansia
secreta di salvarsi.