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un sogno 269

pagnai alla stazione e la lasciai andare incontro alla sorella: da quel momento non l’ho mai più riveduta. Mi chiese di non scriverle, di contentarmi che neanche ella mi scrivesse, di non guastare con parole inutili il ricordo del nostro unico giorno d’amore. Dietro di noi, neanche la più tenue traccia. All’«Hôtel du Louvre», a Parigi, ci chiesero naturalmente i nostri nomi, ma neppur io potrei ritrovarli su quel registro, perchè furono nomi fantastici, inventati da lei, da lei stessa trascritti, e perchè non conosco la sua scrittura. Non solamente agli altri, ma neanche a me stesso io posso più dimostrare che non sognai. Il luogo reale dove la conobbi, dove non sono più tornato, è nella mia memoria trasfigurato: se vi ho parlato di una riva incantata e d’un tempio della Fortuna, è perchè Montecarlo e il Casino, da quell’unica volta che li vidi, hanno perduto i loro contorni reali nei miei ricordi, si sono annebbiati e confusi. Di lei non so più nuova, se vive o se è morta, dov’è, che cosa fa; e se volessi rintracciarla, non saprei da che parte rivolgermi; e se lo sapessi, non ne farei nulla. Col suo fulgore tollerabile, con la sua accessibile e umana