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268 un sogno


— Ma lasciatelo dire!... — intervenne Ferdinando Anselmi. — Egli deve certo soggiungere una cosa essenziale: che nessuna donna di carne e d’ossa gli ha mai fatto provar nulla di minimamente paragonabile a ciò che provò con quella del sogno: è vero?

— È vero.

— Accade sempre così. Disgraziatamente, anche tu dovesti destarti sul più bello, e te ne rimase come un senso di vuoto, come un bisogno di stender la mano per trattenere il fantasma fuggente, come un’angoscia nostalgica ed inconsolabile.

— Qui t’inganni, — rispose Alberto Mauri. — Io mi destai di molto buon animo, il domani, nella camera dell’«Hôtel Riche», a Parigi.

— Come?... Che vuol dire?... Ma dunque?... Ma allora?...

— Così. Vi ho detto che fu un sogno, perchè del sogno ebbe la stranezza, la difformità, l’incredibilità; perchè se vi dicessi che fu realtà, non potrei darvene la prova, nessuna prova, neanche il più piccolo indizio. Di quella donna io non seppi e non so il nome. Il domani della notte nuziale l’accom-