Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
258 | un sogno |
telegrafato, avrei lasciato in pegno le perle del mio sparato. E poi, la squisitezza del godimento era tanta, che nessun’ansia, nessuna paura l’avrebbe mai pagata abbastanza.
«Tornammo a casa al tramonto, mentre sul cielo d’oro si accendevano innumerevoli lune d’argento. Ella montò su in camera, dovendo vestirsi per il pranzo e per il teatro: passando dinanzi ad un ufficio di locazione avevamo prese due poltrone per l’«Opéra». La lasciai salir sola. Se avessi obbedito all’istinto, l’avrei seguita come la sua propria ombra; ma non volevo che le mie assiduità le pesassero, che mi giudicasse importuno ed esigente. Dopo avere sfogliato i giornali nella sala di lettura, salii anch’io, entrai nel salottino, mi disciolsi dinanzi allo specchio la cravatta di colore e riannodai la nera: mi ritrovai subito in tenuta da sera.
«— Siete pronta? — le domandai, dietro l’uscio, dopo avervi discretamente picchiato.
«— Eccomi!
«Era abbagliante di bellezza e d’eleganza, da far gridare, da far morire. Entrò al mio braccio nella sala splendente di luci: tutti gli sguardi si fermarono su noi, su lei. Come s’intitolava, di chi era il melodramma che