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244 | un sogno |
«Ci chiamarono nella carrozza da pranzo quando avevo stabilito: allo scoccare delle otto. Quel treno era d’una puntualità cronometrica; tutte le circostanze sulle quali avevo fatto assegnamento si avveravano, con una precisione, con una facilità che mi stupivano, come dovute all’intervento di una forza misteriosamente propizia; il sordo timore d’un contrattempo, la secreta inquietudine per qualche improvvisa difficoltà o pericolo, si disperdevano. La nostra tavola era tutta fiorita; alle altre non c’era più nessuno. Il cameriere ci serviva come un automa, impassibile alle risate della mia compagna. Ella mangiava e rideva. Tra uno scoppio di risa e l’altro, esclamava:
«— Che stravaganza!... Conoscervi da tre giorni, avere accettato un invito a pranzo per la certezza di evitarlo, e trovarmi ora qui, con voi, mentre il treno ci porta via correndo a ragione di ottanta chilometri l’ora!...
«— Avevo ragione di dirvi che avrei vinto?
«— Avete vinto!
«Volevo sorridere di trionfo, ma sospirai di rammarico:
«— E che mi vale?