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240 | un sogno |
«— Benissimo. Sapete che prenderò il lampo delle sei e quindici?
«— Farò tesoro dell’informazione. Alle otto sarete a tavola con me.
«Avevo parlato senza sapere che cosa dicessi, per il bisogno di parlarle, per trattenerla meco, per ottenere da lei qualche cosa, non foss’altro a parole; quando compresi ciò che avevo detto, quando domandai a me stesso come avrei fatto per vincere, una luce m’illuminò. Nelle profondità della coscienza un piano si era disegnato, a mia insaputa, e mi si presentava ora con tutti i particolari. Il treno-lampo delle sei e quindici doveva essere quello di Parigi. Il domani sera, alle cinque e mezzo, salii in camera mia a cambiarmi, m’annodai la cravatta nera al collo, indossai lo «smoking»; alle sei e dieci arrivai alla stazione, senza valigie. Quando ella mi vide entrare nella sala d’aspetto diede in una matta risata.
«— Grazie d’esser venuto a salutarmi! Vi manca un bel mazzo di fiori da offrirmi!...
«— Non avete di che ringraziare. Compio semplicemente il mio dovere. Chi invita deve aspettare i proprî ospiti. I fiori, ch’io sappia, si fanno trovare sulla mensa.