non è capace di concepire e di porre in esecuzione un piano di studî; ma a produrre quest’effetto non ha anche contribuito l’eterogenea molteplicità delle cose che gli hanno dato da studiare? Il Payot parla della geologia, della letteratura e della lingua inglese; ma bisogna mettere nel conto la fisica e la geografia, la chimica e la storia, la filosofia e la botanica, il latino e la zoologia, la statistica e il greco. Diremo noi, come il Payot inclina a credere, che la colpa sia di chi ha compilato i programmi degli studî? La riforma dei programmi eviterà mai questo prodigioso cumulo di discipline? Non dipende esso dal prodigioso accumularsi del sapere umano? E che diremmo di programmi i quali trascurassero la diffusione di parte del sapere? Ecco qua: mentre scrivo, Errico Panzacchi pubblica un articolo, che è molto lodato, per dimostrare la necessità d’impartir nelle scuole l’insegnamento della storia dell’arte, e Ugo Ojetti lo approva, notando come un caso scandaloso che uno studente di lettere ignorasse dove è posta e da chi scolpita la statua di San Giorgio. Non è veramente scandaloso? Non bisogna istituire il nuovo insegnamento? La storia dell’arte, necessaria agli artisti, non è utilissima a ognuno? E, con la storia dell’arte, non vi sono tante altre cose non meno utili e necessarie a sapersi? Tutte le volte che