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252 | la volontà |
forse per il fallo antico; ma quello di guadagnarsi il pane, come ogni altro lavoro, attento, paziente, continuato, fu ed è tuttavia considerato, da tutti quanti gli uomini, come una pena. Dai selvaggi ai fanciulli, che sono i selvaggi delle società civili, mettersi a fare qualche cosa che richieda attenzione e perseveranza, è difficile e repugnante. Ciò accade anche agli uomini ragionevoli. Il più gran numero delle persone che finiscono gli studî conseguendo una laurea o un diploma, spendono nel rimanente della loro vita la scienza acquistata in gioventù, giudicandola sufficiente, rinunziando ad accrescerla. I più forti lavoratori, quelli cui più sorride il premio delle fatiche scientifiche, letterarie o artistiche, conoscono quell’istinto d’inerzia, quel senso di fastidio, d’anticipata stanchezza e di sfiducia che bisogna ordinariamente superare prima di mettersi all’opera.
Questa universale indolenza non impedisce gli scatti dell’energia. Se di tanto in tanto gli uomini non fossero capaci di risoluzioni e d’azioni, perirebbero certo in poco tempo tutti quanti. Quando gli istinti gridano, quando i bisogni urlano, la volontà opera; ma, ottenuto l’appagamento necessario, lo sforzo cessa, e il dolce far niente torna ad essere lo stato prediletto. L’uomo è tanto superiore al bruto, possiede tante facoltà