Zola ha contrapposto ai loschi affaristi la figura di Sigismondo, il sognatore di una nuova êra liberata dalla nefanda guerra per il lucro, e Max Nordau contrappone ai proprî imbroglioni la figura di Klein, una specie di filosofo, di stoico, che muore, come Sigismondo, architettando certe sue teorie incomprensibili ai più. Ma, ripeto, nonostante questi punti di confronto, favola e personaggi sono, nei due romanzi, diversi. L’argomento, invece, la tesi, il fenomeno sociale studiato è lo stesso. Ora il paragone tra le due opere è inevitabile. Se pure il Nordau non si fosse mai occupato dello Zola, si potrebbe anche giudicare il suo libro senza far paragoni, senza dar peso alla identità dei due argomenti. Noi potremmo credere che lo scrittore tedesco ignorasse il romanzo parigino; potremmo ammettere che, conoscendolo, abbia voluto riprenderne il soggetto, per quella libertà che ha lo scrittore di scegliere i soggetti che più gli piacciono, non importa se trattati bene o male da altri. Ma non ha il Nordau espresso un giudizio intorno allo Zola? Non ha egli dato a questo scrittore del degenerato e del mentecatto? Non ha detto che l’arte sua è la negazione della verità, della verisimiglianza, della naturalezza? Non ne ha enumerati ad uno ad uno tutti i difetti? Non ne ha disconosciuti tutti i pregi? Al-