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il genio e l’ingegno | 205 |
destini dell’ingegno; e lasciamo anche andare che, dopo aver fatto dipendere l’ingegno, oltre che dal caso, anche dall’«applicazione», la quale non è altro che volontà, sostiene poi che solo nel genio il centro della volontà è straordinariamente sviluppato, mentre nell’ingegno resta assolutamente eguale a quello di tutti gli uomini normali.
Si dovrà pertanto affermare quel che il Nordau nega, cioè che il genio e l’ingegno differiscono in quantità, non mai in qualità? La conclusione non è questa. Tra la costituzione fisio-psicologica dell’uomo comune e dell’uomo d’ingegno, di un qualunque militare, per esempio, e di un buon condottiere, non è possibile che non vi sia differenza alcuna, nè di qualità, nè di quantità; si potrà tutt’al più concedere che la differenza sia soltanto di quantità; ma quella che passa tra un buon condottiere e Napoleone è senza fine maggiore, così profonda e radicale, che Napoleone, l’uomo di genio, pare veramente d’un’altra tempra. Il concetto lombrosiano secondo il quale la diversità consisterebbe in una anomalia, ha fautori convinti ed avversarî vivaci: certo è però che il Nordau, dopo averlo seguito, lo nega senza suggerirne uno più soddisfacente.