versità. Ma la diversità non è cagione soltanto di attrazione, o di attrazione pura: l’avversione, fatalmente, la intorbida. «Oggi,» continua l’Albert, «l’uomo e la donna stanno l’uno in faccia all’altra nella situazione di due esseri d’ineguale importanza. La nozione d’una stretta equivalenza non ha potuto ancora stabilirsi fra le due serie di esseri che collaborano per una parte eguale, sebbene in modo diverso, all’opera vitale». Sì, uomini e donne importano egualmente; ma i loro portamenti sono diversi; e la diversità dei portamenti non è piccola, lieve, trascurabile o semplicemente correggibile. In avvenire, prevede questo scrittore, in una civiltà migliore, più pura, più disinteressata, veramente civile, «l’amore non implicherà più, come oggi, quella parte di odio che allontana l’idea dell’unione vera, franca e leale. Non sussisterà più, tra l’uomo e la donna, quel secreto pensiero d’ineguaglianza che dà tanto spesso all’amore moderno il carattere d’una lotta snervante e subdola». Questa cosa accadrà se la natura degli esseri umani cambierà; finchè saranno come sono, e come sono sempre stati, la lotta continuerà. Non è sempre esistita? Lo stesso Albert, che pure accusa la società, non dice che le diverse abitudini morali degli uomini e delle donne sono effetto «d’una lunga tradizione e di una costante esperienza?» Ora dai fatti di