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112 la filosofia di un poeta

gente e forte è più efficacemente caritatevole che non tutta la devozione d’un’anima debole e cieca». Quantunque non lo nomini mai, si sente che egli vuole più d’una volta correggere l’altruismo mistico del Tolstoi. «Piangere con quelli che piangono, soffrire con quelli che soffrono, tendere il proprio cuore a tutti i passanti perchè lo feriscano o lo carezzino», non è, secondo lui, il dovere per eccellenza: «le lacrime, le sofferenze, le ferite in tanto sono salutari in quanto non scoraggiano la nostra propria vita. Non lo dimentichiamo: qualunque sia la nostra missione su questa terra, qualunque sia lo scopo dei nostri sforzi e delle nostre speranze e il risultato dei nostri dolori e delle nostre gioie, noi siamo prima d’ogni altra cosa i ciechi depositarî della vita. Ecco l’unica cosa certa, ecco il solo punto fisso della morale umana. Ci fu data la vita non sappiamo perchè; ma sembra evidente che ciò non sia stato per indebolirla o perderla. Noi rappresentiamo anzi una forma specialissima della vita su questo pianeta: la vita del pensiero, la vita dei sentimenti; pertanto tutto ciò che è capace di diminuire l’ardore del pensiero, l’ardore dei sentimenti, è probabilmente immorale...». Ma così, per correggere gli eccessi della morale remissiva, non rischia egli di cadere nella morale prepotente, — se pure la prepotenza si può dire mo-