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56 | gli amori |
nuti. Sì, ella ha ragione: la storia della loro vita, soggetto buono per qualche pornografo, non rivela altro che una spaventevole ipocrisia. Ma il romanticismo di Donna Teresa, quella sua velleità di distinguersi, quella sua idea d’esser fatta a un modo tutto particolare, di dover provare e far provare cose arcane e ineffabili; quel suo concetto della vita esagerato e falso che la faceva parlare ed agire come sopra un palcoscenico dove tutto è dramma, giuramenti infrangibili, fatalità tenebrose, spasimi sovrumani, questo suo romanticismo, dico, questa forza di un’illusione che la sottraeva alla realtà e la poneva in urto con la logica, fu la sua scusa ed è ciò che può interessarci a lei.
Dunque, fuggì. E dopo la fuga, Sartana, saputo il suo rifugio da un’amica comune, la raggiunse. Allora accadde ciò che doveva accadere. Ma a chi le domandò, molti anni dopo, se durante la supplice insistenza di lui e nel punto di fuggirlo, ella non si fosse pentita dell’ostinata resistenza, confessò quanto segue. Sì, ne provò pentimento. Da principio aveva creduto sinceramente di dover esser felice grazie a un sentimento tutto ideale; la possibilità di cadere anche una volta le repugnava. Noi vediamo dunque che il primo istinto della donna e della femmina, l’istinto della resistenza, era ancor vivo ed operante in lei. Per obbedirne i suggerimenti, ella volle prendere un impegno solenne con sè stessa e con l’amante, impegno che contrariò più tardi molto vivacemente il secondo istinto, il desiderio, il bisogno di cedere. A chi le parlava di queste cose ella non voleva neppur confessare, dopo tanto tempo, il risveglio del desiderio... ma disse, — come dicono tutte — che si pentì del divieto imposto a sè stessa ed all’amante perchè comprese che l’amante ne soffriva troppo.
— Io non potevo sperare che egli mi restasse lungamente a fianco senza tentar d’infrangere la promessa; se pure la mia esperienza non me l’avesse fatto prevedere, io vidi il tormento di Enrico, ne udii le roventi espressioni. Allora... allora...