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UN’INTENZIONE DELLA DUFFREDI


Contessa mia,


S

ia lodato il sommo Iddio! Finalmente ci siamo posti d’accordo! Ella

approva pienamente la condotta della signora di cui le narrai nell’ultima mia lettera la curiosa avventura e riconosce che quel capitano, degno soltanto di compassione se avesse atteso al suo mestiere guerresco — ma non avrebbe potuto sceglierne, in verità, uno più adatto alla nativa mitezza dell’indole sua? — fu degno dello schiaffo somministratogli dalla donna troppo idealmente amata.

Ella conviene espressamente con me sul significato di quel fatto; anzi — sia onore al suo spirito — istituisce in proposito alcuni paragoni molto, come si dice, calzanti: «La castità del vostro capitano,» (perchè mio, poi?) «somiglia al nobile disdegno della volpe per l’uva alla quale non poteva arrivare. S’intende,» ella soggiunge, «che non c’è merito se non c’è sforzo, e quando si parla di resistenza agli istinti, la prima cosa è che gl’istinti operino; come quando voi volete fare un intingolo di lepre dovete cominciare col prendere una lepre.»

Bene! Benissimo! Mi consenta tuttavia di farle osservare che la quistione era un’altra e che, per colpa