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ella triste prova, forse anche contenta che tutto sia finito così. Ho chiamato a raccolta tutta la mia ragione, tutta la mia esperienza, per convincermi che non bisogna chiedere alla vita, all’amore, alle creature umane, più di quel che possono dare. Ho detto a me stessa: «Credevi tu dunque davvero che quest’uomo t’avrebbe amata eternamente? Che cosa c’è d’eterno in noi? Non hai tu sorriso degli affidamenti superbi? Poni una mano sulla tua coscienza: alla lunga, non avresti finito d’amarlo anche tu? Sii ancora più sincera: non cominciavi a sentirti già stanca?...
— Brava! — interruppe l’altra, approvando insistentemente con una mossa del capo — Brava, questo si chiama farsi una ragione...
— Ho pensato tutto ciò ed altro ancora... Mi sono affacciata alla finestra, ho considerato un istante la calma sovrumana di questa sublime natura, delle Alpi nevose imbiancate dalla luna, del lago terso ed immobile come una lastra, delle miriadi di stelle splendenti da miriadi di secoli nell’etere infinito. Ho compreso, nel tempo d’un baleno, la vanità di tutto ciò che è umano, dei dolori, delle gioie, delle passioni dalle quali sono travagliati questi atomi agitantisi un attimo sopra un granello di sabbia; ho visto sparire me stessa, l’umanità, tutta la terra, nel turbine formidabile che soffia sulla polvere dei mondi... Ho bevuto avidamente l’aria fredda, ho richiuso la finestra, sono andata al tavolino, e gli ho scritto una lettera.
— Che cosa gli avete detto?
L’altra parve non aver udito. Restava ancora assorta, come prima, guardando dinanzi a sè; e nel rilassamento dei muscoli del viso, nella piega sottile degli angoli delle labbra, si leggeva una tristezza così profonda, una contemplazione così sconfortata di qualcosa di pauroso e d’ineluttabile, che la duchessa non ardì ripetere la sua domanda. Emilia si riscosse alfine e riprese:
— Ho scritto una lettera, non l’ho mandata. Non so neppure se potrò rileggerla per ricopiarla..... Guardi, piuttosto...