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molto difficile sarà l’opera di chi vorrà sedarla. La duchessa di San Severo riuscì una volta in quest’ufficio; e per non insistere nelle teorie che ella rifiuta di ammettere le voglio narrare piuttosto la storia.
Emilia di Sclafani, spinta alla colpa da un serpente del quale non so se ella più si rammenta, fu un giorno tradita e congedata dall’amante suo. La duchessa di San Severo se la vide venire dinanzi come una pazza, e dire e far cose da pazza: piangere, gridare, ridere, imprecare, mordersi le mani, strapparsi i capelli. La vecchia dama, che ha molta esperienza, lasciò che il primo impeto del dolore si sfogasse; poi, quando l’altra apparve, non dirò più tranquilla, ma stanca, le domandò:
— Che pensate dunque di fare?
Emilia, rimasta a capo chino, con gli occhi immoti come attirati magneticamente da qualche visione, con le mani strettamente afferrate ai bracciuoli della poltrona, si scosse a un tratto con un brivido e un sibilo, portò la destra alla fronte e rispose:
— Lo so io, forse? Ho una tempesta qui dentro... Sento che mi picchiano sulla fronte, sulle tempie, sul cranio, ferocemente, spietatamente... La febbre mi brucia... Mi par d’impazzire...
— Suvvia, coraggio!... — esclamò la dama scotendo un poco la sua bella testa tutta bianca, con un’espressione piena d’indulgente compatimento, come dinanzi all’irragionevole cordoglio d’una fanciulla inesperta. — Fatevi animo!... Non è poi cascato il mondo!... Sapete che non vi riconosco?
— Se non mi riconosco neppur io stessa!... Se tutto mi manca d’intorno! Se non vedo più uno scopo alla mia vita! Se qualcosa si è spezzato nel mio cervello, nel mio cuore, in tutto l’esser mio!..... Calma? Coraggio? Ho cercato d’averne. Ho detto a me stessa, precisamente, che il mondo non è poi cascato. Ho pensato ad altri dolori, un tempo creduti inguaribili, ed ora dimenticati a segno da ridere della loro cagione; mi son vista con gli occhi della mente di qui a qualche mese, uscita sana e forte d