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Adesso ella dice, cara contessa, che siamo finalmente sulla buona via. E giacchè ci sono ci resto. La modella tedesca seppe con due parole esprimere ciò che provava: il rimorso di non aver sofferto, per simpatia, per amore, mentre l’amico suo soffriva realmente, fisicamente, lontano da lei; la storiella che ora le narrerò è un poco diversa. In questo quadro contemplasi una donna che non legge nel proprio pensiero, ma nell’altrui. Abbiamo anche una diversa donna; non una semplice modella, ma una gran dama. La differenza è, però, più esteriore che intima. Questa dama è intellettualmente semplice quanto la pedina. Se così non fosse, l’esempio non vorrebbe dir molto. Noi dobbiamo prendere a esempio donne che sieno tali in ogni senso, non già quelle eccezionali e quasi mostruose creature sul cui sesso la natura par che si sia sbagliata. Dicevo dunque: una signora come ce ne sono tante. Guglielmo Valdara la conobbe in una molto triste stagione. Il cuore di quest’uomo sanguinava per un abbominevole tradimento del quale era stato vittima immeritevole. Aveva riposto tutta la sua fede in una donna, e costei l’aveva distrutta. Egli non viveva se non per lei; perdutala, voleva morire. Sarebbe morto, se pensare ancora a lei, dopo ciò che gli aveva fatto, non fosse stata una cosa amara quanto la morte. Quando egli conobbe la dama di cui vo’ parlarle, la notò appena, le disse appena qualche parola. Non poteva più notare niente e nessuno. Nondimeno la viltà di quel suo dolore per una indegna gli faceva talvolta salire al viso le fiamme della vergogna: allora egli si proponeva di strapparsi l’indegna dal cuore, di cercare e di gustare le distrazioni del mondo. Rivide la dama e s’informò di lei. Le davano molti amanti — ed ella li aveva presi, per dire la verità. Allora Valdara pensò di trovare presso di lei, se non un conforto, almeno una distrazione al proprio cordoglio. Era andato in cerca di altre donne, di mercenarie: il disgusto era stato più forte dell’ebbrezza. Quantunque la perfida avesse dimostrato, col tradimento, la nequizia dell’anima sua, Valdara non rammaricavasi d’aver perduto la