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lei: la bambina si mette a letto, febbricitante. In quindici giorni è morta: morta, capisci?

Queste cose mi venivano nuove. E Alfeni parlava con tono così raccapricciante, che mi sentii turbato.

— Quanto tempo è? — gli domandai.

— Saranno due anni.

— Tu eri ancora con lei?

— No, c’era un altro.

Allora io compresi.

— Tu parli così per gelosia di quest’altro!

— Gelosia di quest’altro?... Aspetta!... Credi che abbia finito? Quest’altro pensa anch’egli di aver toccato il cielo col dito. Io, che oramai so tutto, non provo gelosia, sento pietà di lui. Dico tra me: anch’egli la pagherà! Ma potevo sospettare in che modo? Ero sicuro che avrebbe sofferto, che gli sarebbe accaduta qualche disgrazia. Un giorno lascia Napoli, parte per Torino; non c’è ancora arrivato che il convoglio precipita fuori delle rotaie. Era uno dei più begli uomini ch’io abbia mai visti — pensa un poco se ne provavo gelosia! — e gli hanno da tagliare tutt’e due le gambe; anche le braccia, il viso, tutto il corpo è una piaga. Vive qualche tempo così, poi muore. Muore, capisci? La morte ancor, come dice Carmen!

Rise d’un riso così funebre, ch’io inorridii. Ma volli reagire:

— E poi? Che cosa prova tutto ciò? Post hoc, ergo propter hoc? Anche tu col vecchio sofisma? Tu, intanto, non sei morto: stai benone, ti prendi beffe di lei dopo esserti divertito altrimenti. Avranno ragione gli altri di crederla jettatrice, non tu!

— Io? Sai quanti anni ho io?

— Trenta, mi pare.

— A trent’anni sono vecchio come a sessanta. Questa donna mi ha corroso l’anima e il corpo. La morte è preferibile alla miseria nella quale io vivo. E guarda come costei fa a ciascuno il male più sensibile! Infama il marito e gli uccide la figlia, riduce il ricco a povertà, distrugge la bellezza di quell’altro che pareva una statua animata; a me, che non posso vivere se