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e cattolica severa e sincera?... E don Ferdinando? Lo spauracchio dei suoi scapestrati nipoti! Un altro borbonico, amico di Sua Eminenza, frequentatore assiduo di tutte le sacrestie?... Ed il generale Crozio che fa piovere gli arresti sulle spalle dei suoi poveri tenentini, solo colpevoli di avere vent’anni?... E il cavaliere Stromita, il direttore del Vesuvio, il giornale più rugiadoso, più untuoso del mondo?... E il vecchio don Gennaro Debiase, letterato morigerato, dello stampo antico, strenuo idealista e romantico inconvertibile, a settant’anni, con i capelli tinti e le unghie in lutto?... Orbene, sta un poco a sentire. Ah! Ah! Ah!...

Ricominciava a ridere, mentre ce ne andavamo per via Caracciolo, lungo il mare che ciangottava contro la riva e rompeva il riflesso della luminosa collana distesa dalla Vittoria a Posillipo.

— Sta dunque a sentire!... Quattro anni addietro, subito dopo laureato, quando ancora la mania letteraria non m’aveva ben preso, o per meglio dire quando non aveva ancora trionfato dell’opposizione di mio padre, io feci, per obbedire al desiderio di lui, il vice-pretore. Ne vidi di belle! E il motivo dell’Onore lo trovai appunto nelle severe aule di Temi. Dunque un giorno, mentre ero col pretore titolare ad accordarmi con lui intorno a ciò che dovevo fare durante la sua prossima assenza, entra l’usciere, tutto sossopra, con gli occhi spalancati dietro gli occhiali cascanti, e dice: «Signor pretore! Signor pretore! C’è una signora che le vuol parlare!...» Il mio principale domanda: «Non ne avete viste mai, che siete così sbalordito?...» E il poveromo: «Una signora, signor pretore... una signora! una baronessa!» Rido ancora rammentando con qual tono di stupito rispetto, di reverente e quasi annichilita meraviglia il povero don Pasquale riferì quel titolo: «Una baronessa!» E allora il pretore — bisogna averlo conosciuto anche lui: giovane ancora, ma unto, lurido, sbracato, con una chioma boscosa, la barba d’otto giorni, villoso fin sul naso — il pretore, dicendo all’usciere di farla p