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gli anni era divenuto molto riguardoso, e le nobili amicizie nelle quali aveva attinto alte ispirazioni lo avevano per sempre distolto dagl’impuri piaceri che un tempo erano per lui amari argomenti di torbidi canti. L’arte sua, da principio degna d’un orgiastra, impudica, satanica, piena di volute reminiscenze baudeleriane, erasi purificata; egli rideva ormai dei suoi antichi atteggiamenti e non comprendeva perfino come avesse potuto trovar materia d’arte — d’un’arte sia pure corrotta — nelle case del vizio. Senza dubbio i ricordi delle letture, le imagini rettoriche delle quali la sua mente era popolata, e non già le dirette impressioni della realtà avevano alimentato la sua antica produzione; mutata ora la disposizione del suo spirito, egli era certo che dove un tempo aveva trovato creature diaboliche, tragiche vittime o dolenti sorelle; dove aveva scoperto l’antitesi della carne impura e dell’anima vergine, dell’oro e del fango, del riso e del pianto, non avrebbe rinvenuto altro che la più vile stupidità. Senza sua volontà, pertanto, anzi a propria insaputa, si destò quella sera accanto a una donna che gli aveva gettato le braccia al collo, una creatura bella e strana ad un tempo, grande, forte, con una testa che pareva sbozzata nel marmo, a larghi tratti, rassomigliante tutt’insieme a qualche animata statua della cacciatrice Diana. Ma la fredda e quasi scultorea espressione del viso era animata dagli occhi azzurri, dolci e ridenti come un celeste spiracolo. I capelli castani, crespi, foltissimi e corti, le mettevano sulla nuca come un casco enorme ed opprimente; una lunga veste azzurra, stretta alla cintura, stretta ai polsi, pudicamente copriva tutto il suo corpo ed era appena aperta intorno all’attaccatura del collo, tanto tuttavia da lasciar scorgere, sulla pelle bianchissima, la riga esile ed ancora un poco più bianca d’una cicatrice.

— Che è questo? — domandò il poeta quando si fu liberato dall’abbraccio e per vincere in qualche modo l’imbarazzo al qual’era in preda.

— Non vedi? — rispose ella con un forte accento esotico sgraziato a udire ma che si traduceva plasticamente