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avevo procurato un piacere ineffabile. Non si stancava dal ringraziarmi; e come io tentavo di sottrarmi a così grata lode dicendo che non avevo proprio un gran merito nell’invenzion dell’omaggio: «No!» proferì ella: «Tanto piacere non m’avrebbe forse fatto una riviera di brillanti...»
E allora le risate degli altri mi assordarono. Grolla, specialmente, pestava coi piedi per terra, si dimenava sulla seggiola, come sul punto di scoppiare:
— Forse!... Ah! Ah! Ah!... Immenso quel forse!... Gotico! Tricuspidale!... E allora, tu?
Il narratore concluse:
— Allora io le offersi non una riviera, ma una piccola spiaggia!...
Restava Castelli, che non aveva detto ancora nulla. Io lo incitai a non esser da meno degli altri e a raccontar la sua. Castelli, smesso di ridere, narrò:
— Io voglio riferirvi due frasi che udii dirmi, a uno stesso proposito, da due donne diverse. Una apparteneva alla migliore società, aveva ricevuto la più squisita educazione, esprimeva i sentimenti più delicati. Eravamo amici da molto tempo, ed io avevo fatto per lei più di quel che potevo. L’amavo molto, non credevo alla mia fortuna e non la volevo perdere per paura di ricadere negli amori volgari, di dover ricorrere un’altra volta alle mercenarie vili. Se spendevo ciò che non avevo per quella donna, potevo forse dire di pagarla? Potevo dire di pagare ciò che non aveva prezzo? In verità credo che con i miei doni procurassi maggior piacere a me che a lei! Non già che le dispiacessero, ma il mio piacere per il piacer suo era veramente grandissimo. Un giorno le portai una cosa di molto valore. Quantunque i suoi occhi ridessero dal contento, mi rimproverò e rifiutò d’accettarla; le pareva che fosse troppo. Io le dimostrai che era niente. E dopo le mie eloquenti dimostrazioni non oppose più difficoltà; ma, dopo avermi ringraziato con effusione, mi domandò a un tratto: «Ti costo molto?...» Allora, subitamente, io mi rammentai dell’altra frase che m’aveva detto, molto tempo prima, un’altra donna. Era una mercenaria, una creatura degradata e avvilita;