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dirgliela abbracciandola, all’orecchio, piano, per non offenderla; o piuttosto prender le mosse più da lontano, così per esempio: «Senti... vorrei dirti una cosa; mi prometti che non me la negherai?...» L’espressione del mio volto, per quella cogitazione, doveva essere molto curiosa, se a un tratto ella mi disse, interrompendosi: «Non temere, sai: non te lo descrivo perchè tu me ne comperi uno eguale...»

Gabotti e Castelli picchiarono coi pugni sulla tavola, ridendo sgangheratamente.

— Ah! Ah! Bellissimo!... Straordinario!... Ah! Ah! Ah!... E tu, allora?

— Io, allora, le offersi le mille lire, perchè appunto ella scegliesse qualcosa di suo gradimento...

— E le prese? Le prese subito?

— Subito, no; mezz’ora dopo, quando andai via...

Le risa salirono al cielo.

Rideva più di tutti Castelli; Gabotti faceva piuttosto per dire qualcosa. Disse infatti, quando la clamorosa ilarità dell’amico sedossi, con un’enfasi e una stravagante preziosità di linguaggio dentro alla quale si sentiva uno sdegno amaro:

— Il tuo caso, tuttafiata, non parmi eccessivamente inedito e inopinabile. Vorrei quasi dire che è un caso alquanto ovvio. Ridotto alla più semplice ed assiomatica espressione, lice formularlo così: quando gli uomini dimenticano di pagare le donne, reclamano esse il pagamento. Anch’io provai, altrafiata, un imbarazzo molto simile al tuo. Sarò breve. Ero alle mie seconde armi. Avevo acquistato — e pagato! — una certa esperienza. Sapevo che, se avessi offerto qualcosa, non sarei stato messo alla porta. Tuttafiata, prima di offrire, mi restava da trovare l’opportunità dell’offerta. Una volta, nella ricorrenza di non so più quale anniversario, mandai alla metà dell’anima mia un gran fascio di rose bianche. Le rose bianche erano i fiori che ella portava alla cintura il giorno del quale si celebrava il ricordo. Il dono fu gradito in modo straordinario. La metà dell’anima mia mi disse, sul tardi, quando andai a trovarla, che le