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portava quello che il nostro grande poeta Ariosto chiama araldicamente il cimier di Cornovaglia. Tuttavia la destra infedele aveva saputo tenergli nascosta l’immeritata disgrazia; e tanto più facilmente era riuscita ad ottenere l’intento, quanto che, come dice sempre il nostro divino Lodovico,

   L’incarco delle corna è lo più lieve
   Che al mondo sia, se ben l’uom tanto infama:
   Il vede quasi tutta l’altra gente,
   Ma chi l’ha in capo poi non se lo sente...

Un triste giorno questo marito amante scoprì l’orrenda verità. Il grido del suo dolore fu così acuto, che la stessa adultera ne rabbrividì. Ma il sentimento della dignità, dell’onore ferito e calpestato insorse formidabile in quest’uomo, che scacciò l’indegna. Tutti gli diedero ragione. Ella non aveva nessuna scusa, e solo la perversità dell’indole sua l’aveva spinta alla colpa; ciò si dimostrò tanto più vero, quando si vide che, non contenta d’aver tradito il marito, tradì poi anche l’amante; e a poco a poco, di tradimento in tradimento, scese sino in fondo alla lubrica scala del vizio.

Il marito fu visto cercare altre donne e vivere della vita degli altri uomini liberi. Nessuno sospettava la piaga che nel cuore di lui grondava sangue, continuamente. Non tanto nell’amor proprio egli era stato ferito, quanto nell’amore; egli non si doleva tanto del disonore quanto del disamore. E lontano da lei, dall’infedele, dall’adultera, dall’indegna, egli pensava a lei come alla sola donna che meritasse d’essere amata. I suoi sensi erano appagati da altre femmine, più belle, più esperte; egli non pensava più al corpo di quella creatura: piangeva sconfortatamente il puro, il sincero, il fedele sentimento dell’anima amante. Egli non sapeva più nulla di lei, imaginava che un altro solo possedesse il tesoro dell’anima sua; e un’invidia immensa e un infinito rancore l’occupavano e l’opprimevano. Quando la gente lo credeva contento d’essersi