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senza di che avrebbe ragione quel capitano di cui le narrai tempo addietro la pietosa avventura: e neppure di sola prosa, cioè di soli appetiti, senza di che nulla ci distinguerebbe dai semplici bruti; ma le due cose, preceda l’una o pur l’altra, debbono poi andare insieme e darsi la mano. Ora, se noi dobbiamo cercare il peso di questa poesia e di questa prosa insieme operanti, bisogna riconoscere che, sebbene il peso della poesia sia grandissimo, pure quello della prosa è ancora un poco più grande.

Consideri una pianta. Il tronco s’erge nobilmente, al pari d’una colonna; i rami, via via più sottili, delicati e graziosi, si distendono tutt’intorno bizzarramente; le foglie, tinte di un verde purissimo, venate come da una sottilissima rete, sono cose di bellezza. Che dire del fiore? della sua forma, dei suoi colori, del suo profumo? Orbene: tutte queste cose nobili, delicate, belle, squisite, sono pure sopportate, anzi derivate dall’oscura, dalla nera, dalla poco netta radice. Noi potremo tagliare il nobile tronco e i rami bizzarri, potremo spiccare le foglie delicate e i fiori balsamici; ci parrà, sì, che essi stiano da soli, che vivano d’una propria lor vita indipendente; ma la radice è sempre quella alla quale essi tutti la debbono. Ogni qual volta l’amore sembra un purissimo spasimo, il meno puro istinto — ma questa distinzione di diversi gradi di purezza non esiste in natura, è tutta opera nostra! — l’istinto a nostro giudizio meno puro si trova alla sua origine. Esso potrà restare e resta moltissime volte nascosto, ignoto allo stesso amante nel quale opera; ma da un momento all’altro, e quando meno si pensa, può rivelarsi. Di queste subitanee, impreviste, imprevedibili e quasi direi intempestive rivelazioni io voglio oggi darle due curiosissimi esempii.

C’era una volta un uomo, un marito, il quale, amando d’un indicibile amore sua moglie, d’un amore che era poesia e prosa, spasimo ideale e reale, sentimento dell’anima e impeto dei sensi, una cosa insomma perfetta, ne era ripagato tanto male che da più tempo