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nante.

Il tempo precipita.

Ho bisogno di cantare. Io ho riso della poesia, me ne sono vergognato come d’un linguaggio ridicolo, fuor della vita, fuori del vero. Ora il linguaggio di tutti i giorni mi par rigido, frigido, vuoto ed ingrato. Io canterò la sua bellezza buona, io canterò la grazia sua soave. Ecco che le mie frasi, senza ch’io me ne accorga, prendono naturalmente la misura del verso.

Cantare, cantare: sciogliere un inno che echeggi nei secoli!

No, Ella non vuole. Un dolore secreto la rode. Ella non vuole udire i superbi canti della gioia, ma i canti sospirosi della pietà.

Quale dolore cinge la sua fronte? Che visioni ricordano i suoi sguardi velati?

   Muta, lassa,
   dolorosa.
   Ella passa
   nella Vita.
   La divelta
   rosa langue,
   china il capo,
   scolorita.
   O pallore
   della fronte
   pura, della
   mano pura,
   o dolore
   senza fine
   delle labbra
   sigillate!
   Nostalgia
   d’altri cieli,
   agonia
   dell’amore:
   chi può dire
   la passione
   che la strugge?
   Chi guarire
   la potrà?
   Forse