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dell’Ebreo Errante seguì per via una di quelle creature che i Francesi chiamano filles forse perchè non sono mai madri, e salì in casa di lei. In un angolo della camera — lascio parlare l’autore dei Tre Moschettieri — egli vide un mucchio di scialli, di vesti, di stracci, dai quali usciva tratto tratto un sospiro.

— Che cos’è? — domandò il Sue.

— Non ci badare, — rispose la mercenaria: — è una mia amica.

— Una donna, quell’affare?

— Ma sì!

— E dove ha cacciato la testa?

— Non puoi vederla, la tiene nascosta fra le mani.

— Perchè?

La mercenaria, chinatasi allora all’orecchio del romanziere, gli spiegò:

— Il suo amante le ha gettato in viso del vetriolo: è tutta sfigurata...

E la disgraziata, compreso che parlavano di lei, ruppe in pianto. Eugenio Sue le si fece dappresso.

— Ah, povera ragazza! — esclamò. — Ti duole, è vero, di non poter più fare la vita?

— Qualche volta... — rispose la sfregiata, sogguardandolo di tra le dita. — Qualche volta... quando vedo un bel giovane come te...

Allora il Sue andò a spegnere la candela... e poi lasciò anche due luigi sul caminetto.

Lo scrittore che con tanta simpatia studiò le umane miserie nei Misteri di Parigi, fece dunque una doppia elemosina alla infelice, e noi non possiamo dire quale delle due riuscì più gradita: il denaro o l’amplesso. Sicuramente uno scrupolo caritatevole, l’idea di consolare la deturpata, di dimostrarle che, nonostante la perduta bellezza, qualcuno poteva ancora chiederle — e darle — la sensazione d’amore, spinse Eugenio Sue a quell’atto. Egli che quasi invidiava l’infame reputazione del marchese di Sade — il quale era semplicemente conte — diede una vera prova di gentilezza. Ma che riesca facile imitarlo non è da