cose lusinghiere, Ermanno si difendeva debolmente contro la dolcezza dell’ora. Il giorno tramontava; un cielo d’ametista si scorgeva dall’alto delle finestre, che ad un ordine della contessa furono chiuse, mentre le lampade dai cappucci rosei ed azzurri venivano accese. L’aria d’intimità si faceva più grande e la conversazione diveniva più espansiva. Ermanno proponeva alle due amabili interlocutrici un itinerario di visite e di escursioni; ad ogni allusione che faceva intorno alle antichità dell’arte, la contessa chinava un poco il capo, vergognosamente, confessando la propria ignoranza; mentre la signorina di Charmory dimostrava una perfetta conoscenza del paese che era venuta a visitare. «Ha letto l’Amari?... Ha letto il Di Marzo?...» le chiedeva Ermanno, ed ella rispondeva di sì. La conversazione di lei era fatta, più che d’altro, di risposte; ma non era evidentemente la timidità che la faceva tacere, che la lasciava come assorta in un pensiero recondito. Ermanno si sorprendeva invece di tratto in tratto a parlare con una