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il campo dei proprii studii. Ed è morto giovane ancora, pure in questo simile a Raffaello...» Ermanno parlava pianamente, fissando il ritratto con una specie d’involontaria emozione. Con la forza della simpatia che egli metteva in tutte le cose, era in certo modo come se egli rivivesse la vita dell’antico artista, come se egli soffrisse un poco delle sofferenze che supponeva provate da lui; e, in fondo, quel destino abortito, quell’ingegno potenzialmente forte ma non espresso del tutto malgrado l’assiduo proseguimento di uno scopo preciso, non offriva dei punti di contatto col suo? Era dunque un interesse quasi personale che egli metteva nel parlare di lui, nel rimpiangerne la sorte; però, pentito di essersi lasciato trascinare, tacque ad un tratto. Dopo un istante di silenzio e quasi seguendo il filo di quel pensiero, la signorina di Charmory disse:

    «Muor giovane colui che al cielo è caro...»

Ermanno fissò un momento lo sguardo su di lei. La citazione di quel verso in bocca ad una