glie l’avevano dato, ella lo aveva trovato avvenente nella sua figura di giovane militare in ritiro, malgrado alcune ciocche di capelli grigi sulle tempie, che dimostravano però come egli avesse vissuto e gli davano un’altra attrattiva. I loro caratteri allegri sopra un fondo di bontà si erano convenuti; da persone di spirito, non avevano domandato di più. La vita era trascorsa per loro facile e lieta, in una mutua libertà consentita dalla profonda fiducia reciproca. Di quella fiducia, la contessa contava bene di esser sempre degna. La coscienza della sua propria forza, l’esperienza della nobiltà d’animo di Ermanno, per cui l’amicizia era sacra, non le facevano nutrire nessuna preoccupazione per l’avvenire. Ciò che ella domandava, era che il giovane le stesse vicino, che si chiamassero col soave nome di amici, che fossero l’uno per l’altro quella specie di giudice invisibile, di genio tutelare, sempre presente nella coscienza e la tacita approvazione del quale si sollecita in tutti gli atti della vita, nei più importanti come nei più