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degno provato per quella gente frivola, inetta, malvagia, si era concentrato verso uno solo: il cavaliere di Sammartino, un siciliano spavaldo, provocatore, la cui splendida esistenza era un enimma per tutti. In verità, egli non era fra i più assidui attorno alla baronessa; ma in questa stessa specie di indifferenza metteva una malignità maggiore, con quell’aria di fastidio che egli prendeva in sua presenza, quasi gli fosse finalmente venuta a noia quella relazione e non la spezzasse per un sentimento di dovere increscioso, ma inevitabile. Fuori, egli era uno dei più accaniti denigratori della baronessa.

Andrea Ludovisi lo sapeva, e il suo disprezzo per quell’uomo non faceva che crescere. Malgrado lo evitasse come una disgrazia, una specie di fatalità volle che egli si trovasse presente il giorno che Sammartino, in pieno caffè, insultò atrocemente il nome della baronessa di Fastalia.

Si parlava delle prossime villeggiature, e si enumeravano le signore che sarebbero fra poco andate via; qualcuno annunziò la partenza della baronessa.

— Una di più, una di meno!... — disse il Sammartino, scuotendo la cenere del sigaro col mignolo, dove luccicava un grosso brillante.—