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il tagliacarte di tartaruga posto fra le pagine, e un filo di seta partente da un canestrino e perdentesi sotto uno sgabello tradiva ancora il gesto scomposto che aveva fatto ruzzolare il gomitolo del ricamo.
A un tratto la duchessa si scosse, si levò in piedi e si diresse verso lo specchio. Giunta lì dinanzi, sporse il capo; poi lo ritirò. Pareva avesse una tentazione di guardarsi, ma ne fosse trattenuta dalla paura di vedere uno spettacolo raccapricciante.... Ora teneva il gomito appoggiato allo spigolo del caminetto, e l'indice fra le labbra, rodendosi lentamente l'unghia e battendo con vivacità la punta del piede. Ancora una volta si strappò alla sua cogitazione; avanzossi verso la finestra, la schiuse e tirò su la stuoia. Alla chiara luce che inondò il boudoir azzurro ella si riaffacciò, questa volta risolutamente, allo specchio e vi restò a lungo, guardandosi.
....Nessun dubbio era più possibile. Aveva sperato un momento che fosse stata un'allucinazione, un giuoco di luce, un riflesso; ora il dubbio non era più possibile. I suoi capelli imbiancavano, sulle tempie, sulla fronte, dove si potevano meno nascondere! Da principio, qualche anno innanzi, erano stati dei fili d'argento per cui si erano destate in lei le prime