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sempre, me lo scriveva continuamente — malgrado ci vedessimo ogni giorno, aveva voluto che ogni giorno ci scrivessimo. Ciò mi faceva piacere. Pensavo: c'è qualcuno che si ricorda sempre di me, che sempre mi aspetta — e questo pensiero mi colmava di tenerezza. Quando la vedevo, pensavo ancora: È mia.... Per dir meglio: sarebbe stata.... Intanto si preparava il corredo, la casa. Io le lasciavo la direzione di tutto. Tutto ciò che faceva, era ben fatto. Che fosse contenta lei, questo era l'interessante. Alla sottoscrizione del contratto, feci un piccolo colpo di testa: le regalai dei gioielli di qualche valore; data la nostra condizione economica, una pazzia. Che importava, purchè ella fosse contenta? Ella ne fu contentissima; corse a guardarsi allo specchio ornata di quei monili, i suoi occhi sfavillavano di gioia, e non cessava dal prodigarmi ringraziamenti caldissimi. Questi mi parevano superflui; se fossi stato più ricco, avrei certamente fatto di più.
«La felicità m'irradiò tutto, quando fummo uniti per sempre. Allora io capii che cosa volesse dire: è mia. Quell'essere, quella gioventù, quella grazia mi appartenevano. Io potevo prenderla fra le mie braccia quando volevo, carezzare i suoi capelli, baciare la sua fronte, le sue mani, la sua bocca. Io la sentivo parlare, la