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76 italia e grecia nelle lettere di giorgio byron


condo luogo, anche avvertendo la differenza tra la «morale meridionale» e l’anglo-sassone, egli trovò che se gl’Italiani erano più «appassionati» — e voleva dire, e disse in un’altra occasione, più «incontinenti» — degl’Inglesi, attribuì a costoro meno delicatezza e meno «pudore». Ma questo fu ancora più bello e più degno, da parte sua, e questo merita d’essere oggi ripetuto: che dell’Italia egli compianse le sciagure e proclamò i diritti e fece sue le ragioni.

II.

Nato nella più alta aristocrazia, orgoglioso del suo nome e del suo titolo, Lord Byron si venne sottraendo a tutte le concezioni tradizionali nella sua casta e nel suo paese. «Ho semplificato la mia politica», scrive nel 1813: «essa consiste nel detestare a morte tutti i governi esistenti». Ammiratore, in un primo tempo, di Napoleone e di Murat, definisce «trattato di pace e di tirannia» quello che chiude nel 1814, col trionfo della Coalizione, le guerre della Rivoluzione e dell’Impero. «Il popolo lombardo-veneto», scrive nel 1818 al Moore, «è forse il più oppresso d’Europa». Nella primavera del 1820, al nuovo fremito di libertà che corre per la Penisola, narra al Murray, dalla commossa