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74 italia e grecia nelle lettere di giorgio byron


Afferma il Clemenceau che se Lord Byron non amò i Francesi, «non si può dire che avesse maggior simpatia per gli Italiani». Nella prefazione di un volume dove si riferisce la voce secondo la quale il poeta avrebbe, come i Dogi veneziani, celebrato le sue nozze con l’onda adriatica, l’affermazione riesce alquanto stupefacente. Dobbiamo proprio citare tutte le pagine nelle quali lo scrittore inglese ci significa il suo favore? Tralasciamo i giudizii sulle città italiane, su Milano «impressionante», su Venezia che è stata, dopo l’Oriente, «la più verde isola della mia immaginazione» e dove vorrebbe morire, su Roma «la Meravigliosa», che vince «la Grecia, Costantinopoli, tutto, tutto quanto, almeno, ho visto finora». Si può, infatti, ammirare un paese senza stimarne gli abitanti — distinzione che il Byron farà in un altro viaggio. Lasciamo anche da parte le lodi tributate all’Alfieri, al Pindemonte, al Foscolo, ad altri grandi Italiani del suo tempo, per i quali potrebbe aver fatto altrettante eccezioni. Ma al Moore, che lo invita in Francia, dichiara: «Mi piacerebbe molto prendere la mia parte del vostro champagne e del vostro laffitte, ma sono troppo italiano per Parigi», e soggiunge di lì a poco: «Tutti i miei piaceri e tutti i miei tormenti sono italiani.... Ho vissuto nell’intimità degl’Italiani, sono stato testimonio delle loro speranze, dei loro timori, delle loro passioni;