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un condottiero francese a napoli 45

stessi che avrebbero dovuto esserne i naturali difensori e aiutatori, invece di renderne propriamente disperate le operazioni per effetto della cieca imprevidenza e della presunzione folle.

Durante i preparativi, nè lo Stato maggiore nè il Genio pensarono di gettare un ponte sulla Melfa, che le truppe dovevano pure oltrepassare; giunta l’ora, i soldati dovettero traversarla a guado. Il Damas dispose due squadroni di cavalleria a monte del passaggio, per rompere un poco la corrente, e fece entrare nel fiume la fanteria per plotoni, a file serrate, con gli ufficiali in testa: quantunque la piena prodotta dalle recenti piogge investisse gli uomini fino al petto e ne travolgesse una gran parte, il passaggio fu compito «col massimo ordine». Per l’insipienza dei capi e per l’inclemenza della stagione quell’esercito improvvisato giunse a Roma con le armi arrugginite, le scarpe perdute, l’artiglieria dispersa, una parte dei muli morti, i carriaggi a cinque marce addietro: «la guerra dei Sette Anni non aveva altrettanto sdrucito gli eserciti allora in azione». Elementare prudenza sarebbe stato, dunque, ristorare, riordinare e rifornire le truppe prima di procedere oltre: invece esse ebbero l’ordine di avanzare immediatamente.

Il Damas rigetta sulla cattiva disposizione dell’ordine di attacco la disfatta della sinistra,