Pagina:De Roberto - Al rombo del cannone, Milano, Treves, 1919.djvu/219

ed ha qualche mese di vita appena, e poichè il cugino non è neanche egli uomo da contentarsi d’un amore libero e libertino, ma vorrà anzi sposarla, dopo il lutto vedovile, dinanzi al mondo ed a quel Dio nel quale fermissimamente crede, la coscienza di lei non dovrebbe dunque tremare. Dove è detto che neanche la morte possa restituire la libertà ad una creatura umana, quando ella stessa non si sente vincolata dalla sua propria passione? Caterina non ama più d’amore l’uomo a cui è unita, se pure lo ha mai amato così; ama il cugino, si sente amata da lui; e quando non ha da far altro che dar tempo al tempo, aspettare che il cancro, il male organico di cui nessuno è responsabile, compia l’opera sua, dovrebbe invece giudicare cosa "naturale", cosa "inevitabile", morire insieme col canceroso?

Quanto è inumano il patto, tanto umano è il pentimento. Logicamente, necessariamente, ella deve pentirsi e ribellarsi. Se suo marito ne prova tale disinganno da darsi tosto la morte, deve o soltanto può ella concepirne un rimorso che la risospinga al suicidio? Dov’è la sua responsabilità? Ella non ha fatto altro che scrivere per sè stessa il pensiero suo intimo: quello scritto le è portato via dal dottor Marsal; egli stesso, ad insaputa di lei, corre a presentarlo al professore. Chi può chiamarla a renderne conto? Certo, ella deve provare una