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ingenuamente, credendolo immune dall’ambizione "di passare dalle coscienze nelle volontà, dalle volontà agli atti, e di aspirare alla potenza sociale ed alla forza politica". Ma ecco: quelle idee che dovevano restare incorporee "fanno come tutte le altre idee apparse nel mondo, e si sollevano contro di noi con tutto il destino d’una razza, e questa razza si pone sotto la dittatura di un popolo - il prussiano - non già più illuminato, ma più avido, più ardente, più esigente, meglio addestrato agli affari. Essa gli affida le sue ambizioni, i suoi rancori, le sue rapine, le sue astuzie, la sua diplomazia, la sua gloria, la sua forza.... La Germania è dunque intenta oggi a sostituire, come suo agente, la Prussia all’impero d’Austria? Sì: e se sarà lasciata fare, la spingerà lentamente, da tergo, all’assassinio del vecchio regno di Francia".

Scritte nel 1831, queste parole tolsero il riso al Michelet, come confessò egli stesso, "per dieci anni". Al loro paragone, le pagine sull’Arte in Germania, composte l’anno appresso, fanno meno impressione, ma sono anch’esse degne di nota, perchè l’ansia dello scrittore cerca e trova più sottili ma non meno fondate ragioni d’inquietudine nella stessa attività fantastica del popolo nemico. Finora, in Germania, l’arte è stata senza patria; il più grande scrittore tedesco, Volfango Goethe, si è mantenuto superiore a questa come a tutte le altre passioni