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110 maestri di guerra:

mosa, temere il tuono, o la cerva spaventarsi degli spettri?... Quante brave persone non tremano al pensiero di trovarsi sole in un bosco durante la notte e la tempesta? A quante il vento non impedisce di dormire?... E come mai l’uomo non avrebbe paura del fuoco? Ne ha tanta dell’acqua! È il solo fra tutti gli animali che non sappia nuotare. Non c’è cinghiale che non ne sia capace, venendo al mondo. Non appena noi vi entriamo, già si lavora a sgomentarci. Balie, governanti, precettori, frati, parenti: tutti ci minacciano, tutti ci intimidiscono....»

Contro i deplorevoli effetti di questa congiura egli sostiene l’utilità degli esercizii fisici ardimentosi, la necessità di una scuola del pericolo, l’immensa efficacia dei fattori morali. Per quest’uomo pugnace la guerra è fiducia nella forza, volontà di vincere, tensione della volontà, impetuosità di assalto. «Bisogna ostentare l’offensiva, anche quando si è costretti, per una moltitudine di circostanze che del resto non dovrebbero mai avverarsi, a mantenersi sulla difensiva.» E non gli parlate dei temporeggiatori: Cesare, Alessandro, Annibale, Pirro, Scipione sono i santi del suo calendario: Fabio non vi ha posto: «la stessa temerità è talvolta prudenza». La precauzione deve nascondersi, restare tutta interiore; solo l’audacia ha da manifestarsi. Nulla vi dev’essere d’impossibile; bi-