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sucidi e piatti di ragnatele egli doveva fare per mettere insieme i brandelli di quell’argomentazione scucita, che ricadeva sul suo capo col volo pesante di un uccellaccio. Passavano in quel sonno di piombo cose luminose e cose nere, pezzi di mare, pezzi di muro grigio, macchie biancastre di calce viva, rotte scale di cantine e di sotterranei; in mezzo alle quali cose si raggirava il suo sillogismo coll’aspetto di un prete che andasse rovistando qualche cosa nelle spazzature. E quel prete non era infine che il dottor Panterre, vestito da prete, per burla, con quella sua faccia a grossi zigomi, che rideva.... e poi tornava ancora il concetto che si ficcava dolorosamente tra le pieghe della materia cerebrale e diceva: «L’uomo vale una lucertola....».
Così riposò, ronfiando col versaccio dell’orso, fino alle nove del mattino.
Quando aprì gli occhi si guardò intorno e stentò a riconoscere il luogo. La luce scialba d’una giornata piovosa entrava nei finestroni e versava la sua tristezza sui tavolini da giuoco, sulle sedie in disordine e nell’aria della sala deserta e fredda, che poche ore prima era risonata di risa, di ciarle, di pugni e di bestemmie.
Sopra un piatto d’argento brillavano le marchette di oro e i biglietti variopinti, che rappresentavano la vincita del barone, come egli l’aveva lasciata sulla tavola prima di chiudere gli occhi.
La vista di tutti quei denari richiamò alla me-