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Questi erano i discorsi che faceva quella gente, agglomerata e tormentata dal desiderio e dalla curiosità.

Molte speranze si accendono e bruciano il cuore come un carbone vivo; vengono gli ultimi dubbi, gli ultimi scoraggiamenti; si ciarla, si ride per stordirsi.

Zitto, il ragazzetto cogli occhi bendati, col braccio ignudo, dall’alto d’un palco tuffa la mano nell’urna, estrae un rotolino di carta, che passa al signor delegato, vien scritto su un libro, viene esposto in una tabella, e il banditore grida: — Quattro!

— Papà, papà, il quattro, — gridano i ragazzi in mezzo al susurro che tien dietro al primo numero.

— Non vuol dir nulla, ragazzi. Tutti possono pigliare un numero come si piglia un pesce morto colle mani. È il terno che ci vuole.

Così dice Filippino, a cui quel primo numero ha fatto battere terribilmente il cuore.

Succede un nuovo istante di silenzio. Il ragazzino tuffa ancora la mano nell’urna, tira il numero, questo vien scritto, esposto, e il banditore grida: — Trenta!

— Papà, papà, papà.... — strillano i quattro ragazzi come quattro aquilotti.

Filippino, colla voce e coll’anima sconcertata, mentre nella folla cresce il susurro, sentendo che sta per perdere la testa, chiama i pensieri a partito e sgridando i figliuoli dice: