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L’aria calda, pregna di succhi odoranti, la bellezza del luogo, il bagliore dei cristalli e i primi fumi di un eccellente Médoc, finirono col trasportare «u barone» lontano dal suo prete. I pensieri cominciavano a uscire dalla loro fissazione e la «faccenda» si annebbiava nella memoria, come un sogno confuso all’entrare del mattino chiaro nella stanza.

Alle dieci, dopo aver data un’occhiata al San Carlo, dove si rappresentava una discreta «Aida», si ricordò che l’Usilli l’attendeva al club.

Fu ricevuto freddamente e quasi sdegnosamente dai pochi che sedevano ai tavolini; ma l’Usilli, che l’aveva preso sotto la sua protezione, disse a voce alta:

— Amici, Santafusca è uomo onesto ed è venuto per vincere cento lire a me e per tentare ancora una volta la fortuna. Dice che ha il diavolo dalla sua....

— Un diavolino.... l’ultimo, — disse il barone ridendo con isforzo, e suscitando l’ilarità di chi vinceva.

Alle undici egli vinceva già diecimila lire.

L’Usilli stuzzicato, caldo di smania, puntava come un matto e perdeva sempre.

Davvero, c’era da credere alla leggenda del vecchio Faust.

A un’ora dopo mezzanotte «u barone» giocava ancora.... e vinceva.