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più che l’incomodo, il fastidio di dover giustificare l’origine del denaro.

Trovò anche una lettera di Vico Spiano che diceva:


«Il mio amministratore mi ha parlato ieri della S. V., la quale sarebbe pronta a rilevare una ipoteca di lire diecimila che vanto sulla villa di Santafusca. Per conto mio non ho difficoltà a concederlo, ma ne parli col signor barone e col ragioniere Omboni....»


Il barone pensò che questa circostanza poteva dar luogo a qualche indagine. Il marchese di Spiano era un uomo troppo distratto per occuparsi di affari, ma non doveva essere contrario a pigliare dei denari pronti e sicuri contro una ipoteca che non rendeva nulla. Se il prete gli aveva parlato dell’ipoteca e del suo desiderio di comperare la villa, nulla di più naturale e di più semplice che il marchese cercasse un giorno o l’altro di questo don Cirillo. Non trovandolo in Napoli (sulla lettera c’era l’indirizzo del prete) avrebbe potuto pensare che Santafusca ne sapesse egli qualche cosa, e quindi gliene parlasse alla prima occasione. Era un forellino che bisognava otturare per rendere l’edificio della sua difesa più solido e più sicuro. Come doveva fare?

Due colpi secchi, che risonarono nell’uscio, lo fecero tutto a un tratto trasalire.

— Chi è? — gridò con voce strozzata, stendendo le mani istintivamente sulle carte.