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Voleva dire a sè stesso che le sensazioni passano e i fatti restano.

Tutto era riuscito benissimo. Nessuno aveva veduto il prete partire da Napoli, nessuno lo aveva veduto arrivare alla villa, nessuno sapeva perchè egli fosse partito, e dove riposasse. La villa ora si richiudeva per altri trent’anni, e se non parlano le lucertole, chi doveva andare senza il permesso del padrone a smuovere un mucchio di sassi e di sabbia per cercare un uomo che nessuno desiderava? Non rimaneva che Salvatore, ma il povero vecchio scemo era così poco curioso!

Un grande ed allegro scampanìo risvegliò di balzo il barone dalle sue contemplazioni. Era Martino che sonava a festa per la prossima domenica in albis. La festosa musica riempiva il cielo e le colline di una gioia, sto per dire fanciullesca, come se le campane giocassero a rincorrersi nell’aria.

Sua eccellenza il barone di Santafusca, richiamato al pensiero dei casi suoi, non resistendo all’enorme fatica di aspettare Salvatore fino alla sera, chiuse le stanze della villa, chiuse il cancello verso i platani, e, passando per il cancello delle scuderie, alzò gli occhi rapidamente allo scrimolo del muro che cingeva il cortiletto. Li alzò per istinto, non perchè egli si aspettasse di vedere la faccia giallognola del prete guardare di sopra le tegole.

Chiuse anche questo cancello. Così prete Cirillo non fuggiva più. Per non dare sospetto alla