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Tornato a casa dal colloquio col prete, egli confrontava questa povera vittima, che viveva di sospiri, col prete che aveva il pagliericcio pieno di denaro.

L’una da quarant’anni divideva il destino di una antichissima casa, cadendo anch’essa a brani a brani insieme ai muri, non lamentandosi mai se non quando la fame era più forte della pazienza, sollevando alta la bandiera dell’onore fin che c’era fiato; e l’altro, il prete, insidiava, minava fin le stesse rovine e cercava di pigliare un Santafusca per la gola.

Maddalena aveva chiusi gli occhi della sua povera mamma — pensava sempre l’uomo salendo le scale di casa — ed egli non poteva fare più nulla per lei. Se fosse andato in prigione, la povera donna sarebbe morta di fame sulla via.

I Santafusca avevano nelle vene sangue di re normanni, diceva la cronaca. L’ultimo dei baroni poteva ben morire in odore di brigante con una palla nella gola: ma era vergognoso che si lasciasse succhiare il sangue da un pipistrello.

Man mano che il suo pensiero girava su questo fuso, l’animo del barone si rinfocolava e pigliava coraggio.

Che cosa era un vil pretuzzo in suo confronto?

Il prete sarebbe venuto alla villa con molti denari e forse colla nota di tutti i suoi tesori nascosti nel pagliericcio.

La villa era deserta, Salvatore mezzo sordo e imbecille.