Pagina:De Marchi - Il cappello del prete, 1918.djvu/290


— 274 —

spaventò di essere caduto così presto in contraddizione. Prima aveva detto che il cacciatore aveva gettato in mare il cappello e non il prete: ora diceva che il prete era stato gettato in mare. Di questa contraddizione la sua mente non era più in grado di valutare l’importanza e il pericolo: e tanto meno essa era in grado di conciliare la prima risposta colla seconda: ma il colpevole sentì confusamente che l’edificio della sua difesa diroccava da tutte le parti, e che da questo momento aveva nel cavaliere Martellini un terribile nemico.

Procurò di rettificare la deposizione di prima: ma ormai gli mancavano gli argomenti, gli mancava la voce, il tempo; e le parole gli si aggrovigliavano in bocca. Gli veniva meno la forza di tener separato nettamente il cacciatore da sè, di non attribuire all’uno pensieri ed atti che appartenevano, pur troppo! soltanto all’altro. Non sapeva più discernere il fatto da’ suoi particolari, e, per la foga di conciliare il prete col suo cappello e di voler credere troppo nel cacciatore, non si accorgeva che a poco a poco andava esponendo e accusando sè stesso. La sua testa era una fornace. I mille fantasmi cacciati, respinti, costretti, flagellati dalla sua scienza e dalla sua logica, uscivano sbucando ora tutt’insieme dai tenebrosi spechi della coscienza, invadevano la sua ragione e lo spavento s’impadroniva di quell’uomo che da circa un mese aveva lanciata una terribile sfida alla natura e a Dio.