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«U barone» non vedeva nulla, tranne un gran nero. Tutta la sua vita era raccolta nell’afferrare le dimostrazioni e le dimande del giudice. Al suo fianco vedeva una figura nera che si agitava, e che cacciava le mani nella cesta quasi per fargli dispetto, e cominciò a fissarla con un occhio sanguigno e cattivo.

La toga nera e sciupata del vecchio usciere faceva spiccare il bianco del suo piccolo capo e di un bavaglino di tela conficcato nel collare. Il Quaglia, che teneva il cappello del prete in mano, lo mosse due o tre volte, segnando col dito ossuto le macchie e le ammaccature qua e là, gonfiando un poco un paio d’occhi color madreperla.

Il barone non poteva torcere gli occhi da quegli occhi gonfi, che lo guardavano con una mezz’aria d’ironia.

— In quanto all’opinione che accusa un cacciatore, — continuò il giudice, — sarebbe in parte confermata dalla scoperta di questo carniere.

— Ah! — fece il barone con un’esclamazione quasi di trionfo, come se volesse dire: «E non avevo ragione io di credere in questo cacciatore?».

— Questo carniere fu trovato in una barca presso alcuni scogli.

— Precisamente! — ribattè il colpevole, senz’accorgersi di dire troppo, ma credendo con ciò di distruggere meglio l’effetto di una contraddizione in cui fosse caduto poco prima.